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L’esperienza del suicidio in famiglia dalla parte dei bambini

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L’esperienza del suicidio in famiglia dalla parte dei bambini

  • Dott.ssa Alessia Sarracini

Recensione del libro “E quando avrò paura…io ci sarò per te” di Anna Rita Verardo

L’esperienza del suicidio in  famiglia

Aiutare i bambini che hanno vissuto l’esperienza di un suicidio in famiglia è il difficile compito che spetta a chi resta. Quando un genitore o un fratello si suicidano, sebbene l’esperienza sia in sé traumatica,  parenti e amici accoglienti possono fare molto perché anche un bambino colpito da un lutto del genere possa reagire e avere una vita piena, appagante e felice.

La lettura di libri specifici può essere d’aiuto per avvicinare il bambino e parlare con lui sia della perdita sia del suicidio

La morte di un congiunto è di per sé un evento angoscioso per un bambino, la morte di un genitore poi, anche quella compiuta per cause naturali, genera in ogni bambino non solo disperazione, ma anche altri sentimenti difficili da gestire quali rabbia, la sensazione di essere stati abbandonati, colpa e rammarico per quanto accaduto, ma anche vergogna.

Quando il genitore, o anche un fratello maggiore, decide intenzionalmente di porre fine alla propria vita, tali emozioni e vissuti  risultano insostenibili e il dramma si accresce all’ennesima potenza. Se non opportunatamente sostenuti, tale perdita può costituire un importante fattore di rischio per uno sviluppo sano dei bambini.

Le vittime del suicidio non sono solo coloro che pongono materialmente fine alla loro vita, il suicidio segna profondamente anche le persone che restano. E poi ci sono tutte quelle che si trovano nella scomoda, e comunque dolorosa, posizione di essere vicine a coloro che hanno perso una persona importante in questo modo tremendo.

Parlare apertamente con i bambini di morte è un’esperienza che già normalmente mina le certezze degli adulti, ed è un tema già trattato in un precedente articolo, quando poi ci sia il suicidio di mezzo, ritenendo la verità un dolore troppo grande da sopportare, tentando di proteggerli, i bambini vengono spesso tenuti all’oscuro. Eppure la condivisione è necessaria poiché “consente al piccolo di mettere ordine nelle sue sensazioni, nei suoi pensieri, dentro l’abbraccio di un adulto” di cui potrà continuare a fidarsi.

Ci sono senza dubbio molte letture da proporre come utili strumenti per affrontare questo delicato compito, tuttavia, la mia scelta ricade sul testo di Anna Rita Verardo.

E quando avrò paura…

Come spesso mi capita, ho acquistato il libro dopo una semplice segnalazione via e-mail, senza grandi aspettative, ma già al momento dell’apertura del pacco mi sono resa conto che non è un testo qualunque, come prima cosa è bello a vedersi e incuriosisce, aprendolo ci si accorge che è diviso a metà, con due copertine diverse come fossero due libri diversi, una parte è dedicata agli adulti, l’altra al bambino, in particolare poi quella dedicata ai piccoli è ricca di schede, disegni, spazi per annotazioni personali e fotografie familiari che consentono non solo di dipanare gradualmente il groviglio di pensieri ed emozioni, ma anche di farne un uso personalizzato.

Sebbene diviso a metà, il libro è unito da un unico filo conduttore che lega il bambino che ha estremamente bisogno di essere rassicurato a chi ha altrettanto bisogno di essergli d’aiuto nel difficile compito dell’elaborazione della perdita subita. 

Si tratta di un percorso di apprendimento delle reazioni fisiche, emotive, cognitive e comportamentali comuni dopo un suicidio familiare, di ricerca delle parole giuste per comunicare la notizia, di preparazione alle domande sulle possibili ragioni che possono aver spinto al suicidio, mantenendo un punto fermo:

“I bambini hanno bisogno di essere informati delle cose che
 accadono alle persone importanti della loro vita”
Elisabeth Kubler–Ross

Come già detto, gli adulti possono sentirsi impreparati ad accogliere le domande relative al suicidio di un congiunto, spaventati per la sofferenza inevitabile e la propria impotenza, oppure aver maturato attraverso le proprie esperienze luttuose che i bambini sono troppo piccoli per essere messi a conoscenza di verità scomode.

Eppure accade inevitabilmente che i bambini si rendano conto della presenza di un “non detto” che rende complessa la condivisione e l’apertura verso l’esterno a causa di un sentimento strisciante di vergogna. Questo sentimento non protegge i bambini  e tantomeno gli adulti. L’adulto continuerà a tacere, il bambino a non chiedere, entrambi schiacciati dal dolore.

L’alternativa  possibile proposta nel libro è che le due strade parallele e distanti, quella dell’adulto e del bambino, si uniscano condividendo sofferenze ma anche risorse, affinché il bambino apprenda che anche il dolore per la perdita più traumatica può essere superato.

Dott.ssa Alessia Sarracini
Psicologa Psicoterapeuta - Frosinone (FR)


Dott.ssa Alessia Sarracini Psicologa Psicoterapeuta
Frosinone (FR)

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Laurea in Psicologia (indirizzo Psicologia clinica e di comunità)
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