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Perché viene il disturbo ossessivo compulsivo (DOC)? (Parte III)

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Perché viene il disturbo ossessivo compulsivo (DOC)? [ Parte III ]

Parte I | Parte II

  • Dott.ssa Alessia Sarracini

6. Si censura la sessualità.

Perché viene il disturbo ossessivo compulsivo

Pensiamo al bambino, soprattutto maschio, che per caratteristiche del proprio corpo, si trova molto spesso impegnato in attività di autoesplorazione/autostimolazione.

Genitori con alti standard morali potrebbero ritenere tali comportamenti anormali e pensare di dover adoperarsi per infondere un sano senso del pudore;

in genere essi intervengono con disapprovazione “togli le mani da lì” “è sporco non si tocca”. Tali messaggi, soprattutto se il genitore appare critico e molto irritato, possono influenzare l’atteggiamento del bambino verso la sessualità, ad esempio suggerendo un’associazione tra il corpo e lo sporco.

In realtà non possiamo dimenticare che i bambini, sia maschi che femmine sono curiosi e quanto più sono sani, tanto più lo sono, pertanto, molti gesti e comportamenti dovrebbero essere interpretati come manifestazione di una sana crescita mentale e fisica, e di un altrettanto legittimo desiderio di piacere.

Senza colpevolizzare il bambino per ciò che fa, possiamo però cominciare ad introdurre il bisogno discriminare luoghi e tempi adatti.

Sarebbe utile che il bambino comprendesse che come c’è un tempo e uno spazio per il gioco, il cibo, lo studio, allo stesso modo c’è bisogno di riconoscere che, se in alcune occasioni non c’è niente di male ad intrattenersi esplorando il proprio corpo (es. durante il bagnetto o durante momenti di relax), in altre hanno la precedenza altre attività (es. a scuola sarà più opportuno rapportarsi con i compagni, impegnarsi in un compito o attività proposta dalle insegnanti).

Sotto la guida attenta e comprensiva dei genitori, il bambino ha così modo di individuare situazioni opportune per dedicarsi alla scoperta delle sensazioni piacevoli provenienti dal proprio corpo che in tal modo risultano anche legittimate e non qualcosa di cui vergognarsi perché “sporche”.

7. Si nega l’aggressività.

Perché viene il disturbo ossessivo compulsivo

Di fronte alle liti tra coetanei o tra fratelli, i genitori possono pensare di dover intervenire da “arbitri” reprimendo e punendo il gesto aggressivo del “colpevole”.

È bene aver presente che il litigio è uno strumento di crescita personale, un banco di prova in cui si impara a stare con gli altri, ci si confronta con i propri limiti e aiuta a scoprire modi per riconciliarsi.

Compito del genitore sarebbe quello di educare prima di reprimere.

Occorrerà insegnare che c’è differenza tra emozioni, parole e gesti.

Se sono ammessi tutti i sentimenti, anche quelli di rabbia verso una sorellina, non lo sono tutti i gesti.

Spessissimo ammettendo la possibilità di essere arrabbiati, imparando anche le parole per comunicare cosa si prova, c’è molto meno bisogno di ricorrere all’azione. Quando dovesse capitare, il genitore può vigilare e aiutare nella comunicazione, per esempio facilitando l’apertura sulle emozioni e punti di vista reciproci senza offendersi.

Anche in questo caso, l’adulto non solo insegna, ma è l’esempio più autorevole per un figlio, la possibilità di farsi vedere arrabbiati, senza essere messi in punizione con urgenza, senza “trucchi” per distogliere rapidamente l’attenzione dal motivo per cui era nato lo scontro, costituisce un allenamento emotivo più utile di mille discorsi; /p>

il bambino ha l’opportunità di imparare che la rabbia non è pericolosa, e quando gli capiterà di sperimentarla non si giudicherà cattivo e fuori controllo, ma la vivrà esattamente come tutte le altre emozioni.

8. Si ritiene che i bambini debbano essere responsabilizzati precocemente.

Perché viene il disturbo ossessivo compulsivo

Alcuni futuri ossessivi, già da molto piccoli, si trovano ad affrontare situazioni molto più grandi di loro, i casi più emblematici sono rappresentati dall’avere genitori assenti o inadeguati e dal dover prendersi cura di un fratello minore, o proprio del genitore incompetente.

Tuttavia ci sono molteplici situazioni meno vistose, eppure altrettanto significative al fine della vulnerabilità al DOC, tutte vedono coinvolti i bambini in prove emotive non adatte alla loro età, che impediscono loro di essere soltanto dei bambini.

Per fare degli esempi concreti, mi riferisco

  • all’essere coinvolti nelle liti tra genitori (es. come mediatore tra mamma e papà, come portavoce durante periodi di assenza di comunicazione tra i due, come protettore del genitore percepito come più debole…);
  • al sentirsi costretti ad assumersi la responsabilità di un fratellino;
  • all’essere sostegno emotivo verso un genitore “abbandonato” assumendo il ruolo del genitore che non è più in casa;
  • ma anche all’essere oggetto di aspettative eccessive, per cui un’attività sportiva perde ogni carattere ludico e diventa fonte di stress in occasione delle competizione o quando, perso l’interesse, non si abbandona solo per compiacere i genitori.

Come genitori si può pensare che responsabilizzare i più piccoli sia un buon modo per renderli maturi, consapevoli e indipendenti, e in una certa misura tutto questo è anche vero, però sempre senza esagerare;

sarebbe molto utile ricordare che ad una loro maturità cognitiva non corrisponde la stessa maturità a livello emotivo, per cui non sono semplicemente preparati a gestire l’impatto emotivo delle importanti responsabilità affidategli.

Essi avvertono la loro difficoltà nei compiti proposti, ma anche la necessità di impegnarsi al massimo per riuscire proprio perché ritengono che dalla loro condotta dipenda qualcosa di importante all’interno della famiglia. Si impegnano al massimo tanto da sembrare dei piccoli adulti, tuttavia aver vissuto questo tipo di sproporzione tra capacità e compiti può minare la fiducia in se stessi da adulti man mano che la vita riserverà nuova responsabilità.

Ridimensionare le aspettative che talvolta si ripongono nei figli è un passo molto importante per accrescerne la fiducia in se stessi.

È l’opportunità di essere solamente bambini, di giocare liberamente, di sperimentare una sana dipendenza dai genitori, e non le imposizioni, a rendere adulti equilibrati.

9. Si ritiene di dover proteggere i bambini dalle responsabilità che la crescita invece comporta.

Perché viene il disturbo ossessivo compulsivo

Se responsabilizzare eccessivamente un bambino può creare sfiducia nelle proprie capacità di far fronte ai compiti adulti, anche prolungare esageratamente il periodo di spensieratezza può condurre allo stesso risultato.

Cercando di essere i genitori migliori, risparmiando ai propri figli ogni incombenza, in realtà li si priva anche della possibilità di sperimentarsi capaci, di fallire e di reagire ai propri fallimenti, anche in questo caso potranno sentirsi adulti impreparati alle responsabilità.

In realtà sono proprio i bambini ad apprezzare dei piccoli compiti che il genitore affida loro, il dato importante è che il compito sia appropriato all’età, es. preparare insieme pietanze poco elaborate, riporre qualche suo indumento appena stirato nel cassetto, se ha 3-4 anni; aiutare a preparare e sgombrare la tavola se ne ha 5-6.

Un altro modo per rendere progressivamente responsabile un bambino è anche permettergli di prendere decisioni in autonomia; incoraggiato dal genitore, può scegliere il suo abbigliamento, la merenda da portare a scuola, come tagliare i capelli e in tal modo affidarsi al proprio giudizio.

Un’altra idea per costruire la fiducia nei vostri figli è quella di permettere loro di sbagliare serenamente. Non riuscire in un’impresa, oltre ad essere importante, in quanto i bambini comprendono la necessità di impegnarsi molto per ottenere ciò che vogliono, fornisce un’importante occasione in cui si sperimenta che non si è perfetti, ma che non è neanche richiesto esserlo.

Affidare responsabilità ai propri figli è una parte importante nel rapporto genitori figli a patto che ci sia una proporzione tra incoraggiamento e sostegno, spingendo a cimentarsi in nuove attività, ma proteggendo da aspettative irrealistiche.

10. A volte all’interno delle famiglie di persone affette da DOC si riscontra la presenza di una “pecora nera”

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ovvero di un parente stretto additato, disprezzato o anche “innominabile” in quanto fonte di vergogna o dolore per la famiglia; pensiamo ad uno zio affetto da una patologia psichica seria e con sintomi eclatanti, oppure nei guai con la legge, magari agli arresti domiciliari o in carcere per spaccio di droga, oppure caduto in miseria per aver gestito in modo poco oculato il patrimonio.

Anche in questo caso le possibilità sono infinite, ciò che le accomuna è ascoltare centinaia di volte come il congiunto si sia macchiato della responsabilità della propria rovina e di aver infangato il nome della famiglia. Sempre attraverso gli aneddoti familiari, se non attraverso moniti espliciti, un bambino può cominciare a stare molto attento al fine di evitare di seguire le orme della “pecora nera”.

La particolarità di queste situazioni risulta nel non aver sperimentato in prima persona esperienze che possano costituire un fattore di rischio per il DOC, ma per interposta persona. Le cito, oltre che per la frequenza nella pratica clinica, per evidenziare ancora una volta quanto siano importanti non solo i dialoghi con il bambino, ma anche le conversazioni tra adulti, pertanto cerchiamo di porci sempre degli interrogativi “cosa significa per un bambino ascoltare e riascoltare un certo aneddoto familiare?”, oppure “come vive l’impossibilità di parlare di una persona che invece ha, o ha avuto, importanza per i suoi parenti stretti?”.

 

Grazie ai miei pazienti che sono l’anima di ogni frase dell’articolo.

 

Dott.ssa Alessia Sarracini
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